http://pietrobono.blogspot.com/2010/04/arkeon-la-dinamica-maestro-allievo-e-la.html
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27-3-2009
Ieri era un anniversario particolare.
Scrive Raffaella Di Marzio:
http://raffaelladimarzio.blogspot.com/2009/03/tasselli-di-esperienza-ottavo-tassello.html
In questi casi mi sovviene sempre il verso di Alexander Pope: "...For fools rush in where angels fear to tread".
Che tradotto suona così: “...Ché gli stolti si precipitano là dove gli angeli esitano a metter piede”.
Verso che poi è stato adottato nel titolo dell’interessante libro scritto da Mary Catherine Bateson insieme a suo padre Gregory: “Dove gli angeli esitano - Verso un’epistemologia del sacro”.
http://it.wikipedia.org/wiki/Gregory_Bateson
Ed è appunto di padri e di figli, di benedizioni, di ferite e di sacro, che vorrei provare a parlare.
Non ricordo teorie in arkeon. Però nell’esplorazione comune di tanti anni, ricordo tanti silenzi, tante domande, tanti abbracci, tanti volti, tante lacrime e tanta gioia condivisa.
Ricordo due giovani, uno di fronte all’altro, che si chiedevano scusa. Uno era israeliano, l’altro tedesco. E ciascuno si scusava con l’altro, in una valle di lacrime, per i fatti commessi dai propri padri e dai propri nonni. E soprattutto ricorderò per sempre quell’abbraccio, carnale, che non riguardava solo due persone finalmente pacificate da colpe forse ancestrali, ma che era gravido di una possibilità ben consistente: il dialogo e la pacificazione di due mondi, solo apparentemente separati.
Ricordo anche un canto. Il canto di un giovane tunisino che aveva lasciato la sua patria per divergenze politiche. In quel canto antico, tutti cogliemmo la bellezza di ciò che, pur diverso dalla nostra cultura, torna ad essere comune per tutti: la nostalgia per una terra, la terra delle proprie radici e dei propri antenati. Ma forse anche nostalgia di un luogo interiore.
Un altro episodio riguarda una giovane madre. Una persona che porterò nel cuore sempre. Di uno spessore, di una saggezza fuori dal comune. Per vivere faceva quello che viene definito “il mestiere più antico”, la prostituta.
Nel corso della frequentazione dei seminari si interrogò, forse. Alla fine decise di tornare nella sua patria, da sua figlia in sud America, per cambiare mestiere e prendersi cura della sua gente.
E che dire di quel giovane, incallito spacciatore, che durante il seminario, si allontanò repentinamente per qualche ora. Al suo rientro volle condividere che, riflettendo su quanto le persone avevano raccontato, aveva sentito l’impellente bisogno di correre da suo padre, per farsi dare il ceffone che sempre era riuscito ad evitare. Ma che tanto gli era mancato.
E il padre, all'originale richiesta del figlio, pare avesse esclamato: “Tutto qui?”. E a quelle parole pare avesse fatto seguire un sonoro ceffone. Liberando nel figlio un mare di lacrime, di tenerezza e di appartenenza, fino ad allora sconosciute.
Quel giorno, i consumatori di droga della sua città, persero un ottimo punto di riferimento.
Io chiamo tutto ciò “conversione”.
http://www.cesnur.org/2010/mi-conversione.html
Sarei davvero curioso di conoscere la natura di questa “professione”.
Tra le cose che ricordo con più nitidezza e, devo dirlo, con nostalgia, era la cerimonia della benedizione. A quanti padri ho visto mettere le mani sul capo del proprio figlio o della propria figlia, presenti al seminario. E ogni volta era, anche per me, una nuova esperienza, un nuovo inizio, una nuova gioia.
Quanta bellezza assistere al lungo cammino di questi figli che, come me, dopo il tanto cercare di una vita, alla fine avevano trovato pace e la forza della fragilità, proprio attraverso quelle mani - è il caso di dirlo “benedette” - sul proprio capo. Quanta intimità e quanto senso di responsabilità in questo dare e ricevere.
E quale gioia inattesa, negli occhi di quei padri. Ripagati in quel sublime modo, dell’impegno e della dedizione di una esistenza intera.
E che dire della gioia e della fierezza di tante madri, nell’assistere a tale intimità.
Un’altra parola anche sentita negli ultimi anni era “ferita”.
A lungo abbiamo, ognuno in cuor suo, riflettuto su questo mistero.
Molte sono state le domande e le ipotesi, e credo molti i tentavi di risposta. Tanti quante le persone.
Dopo la forzata chiusura di arkeon, certo non è mancata l’occasione per interrogarsi, ancora su questo tema. Anzi.
Ciò che si è affacciato nella mia mente in questi ultimi mesi, è certo un pensiero strano.
Nell’Ottobre 2007, nel rispondere in un forum al commento di un mio omonimo, scrivevo:
26-10-2007
“Caro Pietro, provo a rispondere, perlomeno alla tua ultima domanda.
E’ vero, anch’io sono sicuramente entrato in arkeon con un grande bisogno affettivo.
Anzi dirò di più. Col senno di poi, posso dire che cercavo una “setta”.
Un luogo dove sentirmi finalmente accolto, dove compensare le mie frustrazioni, dove poter dare spazio alla mia voce, al mio pensiero, al mio anelito di giustizia, e così via.
E’ vero c’è stato anche per me una accoglienza rigenerante. Ma poi, che delusione.
Io che accarezzavo il sogno di essere al centro della platea, che finalmente potevo mettere a frutto una (credevo) consistente esperienza professionale, mi sono trovato in stò gruppo sgangherato dove al centro cosa c’era? Il rispetto per l’altro, per le persone, per il diverso da me. Ma, peggio ancora, la proposta, indecente, che attraverso l’altro io avrei potuto imparare.
Ma che cavolo me ne fregava a me degli altri? Ma che cavolo avevo ancora da imparare proprio io.
Che delusione anche in seguito. Tutto stò bisogno di verità, di integrità: nel proprio cuore, nelle relazioni, nel mondo. E che cavolo, avevo tutto da perdere. La realtà quotidiana mostra ben altre regole. La doppiezza, il compromesso, le bugie, la manipolazione, lo scambio di segreti, lo scambio di favori, il successo, la visibilità, le certezze, il potere, e così via.
Ma la delusione più grande è stata quando ho compreso che l’obiettivo del lavoro non era “stare bene nel cerchio”, ma essere nel mondo senza rinunciare ai valori che avevo toccato.
E che cavolo, ma allora mi volevano proprio male! Espormi, io, in questo mondo? Ma siete matti?
Poi in me, lentamente, è nata una sfida, una sfida con me stesso. E mi son detto: in fondo le regole del mondo già le conosco e a dirla tutta non è che mi hanno reso molto felice. Anzi.
E così eccomi qui.
In fondo che ho imparato in questi anni, dalle persone che ho conosciuto nei cerchi accompagnati dal lavoro di Vito? Bazzecole.
Che volete che sia il rispetto, il coraggio, la bellezza delle persone, la fede che questa bellezza possa sanare la distanza, dare un senso al dolore delle ferite, il sentirmi custodito e amato dalla vita, da Dio, nonostante le mie perplessità e le mie insicurezze, riascoltare ogni giorno nel mio cuore le ultime parole di mio Padre: “abbracciami ancora una volta , figlio mio…”
In tutto questo e concludo, caro Pietro, ho incontrato a onor del vero anche eccessi e piccolezze nelle persone, cose di comune umanità. Le ho incontrate soprattutto in me stesso.
Ma se mi domando ora cosa mi spinge a spendermi, per quel che posso, è proprio questo sentimento di sentirmi in debito con la vita, perché al di la della precarietà e della paura, che ben mi conservano umano, sento che dalla vita ho veramente avuto molto.
Questo mio passare dal bisogno di impormi, al bisogno di imparare e condividere, io lo chiamo “conversione”.
Se fossi nato secoli fa’, con tutta la sete di giustizia e tutta la severità che mi è connaturale, avrei fatto di per certo “l’Inquisitore”.
Ora mi trovo tacciato di appartenere a una setta. Certo che la vita è anche buffa.
Un abbraccio fraterno.
Pietro B
da Aduc http://dilatua.aduc.it/forum/tentativo+censura+fallito_3560.php
Per evitare equivoci, ho riportato l’intero mio post.
Ciò che qui mi interessa evidenziare è la ricerca di uno spazio di intimità, di uno spazio condiviso dove poter apprendere, da sè e dagli altri senza essere giudicati.
In molti l’abbiamo cercato. Io di certo.
Ebbene, la sensazione che ho è che alcuni di coloro divenuti repentinamente estremamente critici nei confronti di arkeon, fossero proprio coloro che in arkeon avevano cercato, non la condivisione di una ricerca, ma invece, in qualche modo una “setta”.
E, paradossalmente, per il fatto che non lo fosse, ne sono rimasti delusi e anche risentiti.
Tutto sommato, anche se a livelli ben diversi, il discorso non è molto diverso dalle motivazioni che forse spinsero Giuda a fare ciò che ha fatto.
Pietro Bono
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