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Non sono certo di riuscire chiarire il mio pensiero a riguardo, ma ci provo.
Domenica scorsa ero, con altre famiglie, in uno stupendo Santuario Francescano.
La messa è stata allietata dalla celebrazione del venticinquesimo anniversario di matrimonio di una coppia di sposi. E’ stato bello e commovente, anche se nessuno di noi li conosceva, assistere alla gioia di questi sposi, dei loro figli e di tutte le loro famiglie, per questo ennesimo traguardo del loro progetto di vita.
E nella gioia e nell’emozione di quegli sposi, e nelle ispirate parole del Padre celebrante quel rito, ho avuto la conferma di ciò da anni vado pensando: l’obiettivo di questa carneficina non è Vito e non è neanche arkeon.
Il target, l’obiettivo di questo attacco forsennato e anche criminale sono le famiglie, la loro intimità e più ancora quello che ormai è comunemente noto come “il popolo di arkeon”, ovvero quella comunità che si riconosceva intorno ad una proposta.
Il nome di questa proposta non è certo “arkeon”.
Il nome è molto più antico e riguarda un sogno antico, una speranza, una possibilità di vivere una vita aperta alla “verità” pur sapendo che le regole del mondo, di oggi e di ieri, non sono certo queste.
E’ mia personale opinione che il lavoro di arkeon abbia ottenuto gli evidenti e indiscutibili risultati non per la bravura di Vito o di qualche altro maestro, ma per il coraggio e la fede delle persone, delle famiglie.
In molte tradizioni, credo anche in quella cristiana, si chiama “disciplina”.
Già Qualcuno, circa duemila anni fa, aveva fatto osservare: “vai, la tua fede ti ha salvato…”.
Intendiamoci, per chi non avesse conosciuto arkeon, non c’era nessuna comunità residenziale e neanche era prevista.
Non c’erano ne volontari ne persone che lavoravano, se non un segretario regolarmente stipendiato, per il “popolo di arkeon”.
Molte persone negli anni sono entrate e sono uscite dal lavoro. Ciascuno cercando qualcosa.
Anche molti insegnanti hanno lasciato negli anni il percorso in cui in parte si erano riconosciuti.
Ognuno insomma, era palesemente libero di arrivare e di ripartire.
Desidero però ritornare alle motivazioni di questa persecuzione.
Personalmente non credo ad un complotto.
Ritengo piuttosto plausibile una particolare e consistente “convergenza di interessi”.
Ma ci sarà modo, in questi anni di procedimenti giudiziari, di entrare in merito.
Ciò che più mi interessa in questo momento è esplorare, come chiamarlo, l’innesco, la miccia che ha generato una simile deflagrazione.
In fondo di sette, dicono, è pieno il mondo. Perché allora arkeon? Che poi non è neanche una setta.
Ma si è mai visto, in Italia o altrove, un gruppo che appellato come setta chiamasse immediatamente un organismo come il GRIS (Gruppo di ricerca e informazione socio-religiosa), per mettersi a disposizione ?
http://www.gris.org/
Ero presente nell’ufficio di Vito nel 2006 quando, a pochi giorni dalle trasmissioni di Costanzo, in cui alcune persone definirono arkeon una setta, Vito chiamò Giuseppe Ferrari, Segretario del GRIS: “Pronto? Salve sono Vito Moccia, il fondatore del percorso arkeon. Guardi, hanno detto in televisione che siamo una setta, sareste disponibili a fare uno studio sul gruppo?”
Non credo che né il GRIS ne altri gruppi abbiano mai, prima d’ora, ricevuto altre richieste del genere.
Come credo sia ormai risaputo, lo studio su arkeon non fu poi effettuato dal GRIS, ma da un altro centro studi internazionale.
Perché allora arkeon?
Il segreto del funzionamento del lavoro arkeon, per me, era costituito proprio dal “popolo di arkeon”, cioè da tutte le persone che passando per il lavoro hanno lasciato una loro impronta.
Ogni impronta è stata, a mio avviso, un mattone costitutivo del lavoro, così come accade in ogni costruzione.
Posso affermare per certo che nessuna persona ha guidato questa “ricerca”.
Per questo il risultato appartiene a tutti. Per questo si parla di un “popolo”, perché la gratitudine di tutti, va in realtà a tutti, nessuno escluso.
E, al di là del carisma di Vito, anche Vito stesso, come tutti gli altri insegnanti e maestri, credo sia consapevole che il suo ruolo sia stato soprattutto quello di custode, insieme a ogni allievo, di uno spazio che veniva chiamato “sacro”.
Sacro perché le persone, in quello spazio, si permettevano di incontrare, scambiare opinioni e crescere in libertà. Ogni persona era consapevole della delicatezza e della precarietà di quello spazio.
Và però notato come per tanti e tanti anni questo spazio è stato custodito da tutti, anche da quelli che avevano scelto di lasciarlo.
Quanta cura e quanta dedizione è necessaria per la crescita di un bimbo, di una persona e della sua fiducia nella vita?
Quanto è più semplice ferire, sopprimere un bimbo, una persona? Basta niente.
Ancor più facile è sgretolare la fiducia. Basta un soffio.
Le persone che negli anni sono passate nei cerchi erano persone normali. Con i loro pregi ei loro difetti. Maestri compresi naturalmente.
Nei cerchi ho visto passare di tutto.
Eppure per tanti anni, la fiducia attribuita al cerchio è stata custodita dal senso di responsabilità delle singole persone. Senza che nessuno, ripeto nessuno si approfittasse delle informazioni sulle altre persone, che aveva acquisito frequentando i seminari.
Questo non significa certo che ci fosse simpatia incondizionata tra tutti. Anzi.
Ma rispetto, sì.
La mia personale opinione è che ciò che si è tentato di colpire, anche attraverso l’attacco ad arkeon, siano le famiglie.
E insieme alle famiglie anche un modello di comunità che nel tempo si era andato a costituire.
Una comunità in qualche modo virtuale, ma più reale che mai. Dove tutti potevano essere modello e maestro per ciascuno.
Ma perché frantumare tutto ciò? Che danno potevano fare qualche migliaio di persone disperse tra milioni?
La risposta che più vedo appropriata ora è: perché esistevano.
Quando nel corso dei seminari avevo l’occasione di vedere le famiglie, quelle giovani e quelle meno giovani, dove la relazione e l’amore, come sempre accade, non erano scontati, ma il frutto di un progetto, di un percorso, di una tenacia e di una fede comune, mi commuovevo. E dentro di me pensavo: “anch’io desidero che questa bellezza entri nella mia vita”.
Ma ciò che rendeva per me speciale questo lavoro era il fatto che le persone e le famiglie si permettevano di condividere con le altre presenti questa fragilità e questa bellezza. Riconoscendo tutto questo come un dono. E un dono ancora maggiore, quello di poterlo condividere.
Così le cerimonie.
Quella per le coppie di sussurrarsi, dirsi, a volte gridarsi tra le lacrime, l’amore in pubblico, vincendo un naturale e pudico imbarazzo, non aveva prezzo.
E che dire di quei bimbi alzati al cielo, in segno di gratitudine alla vita, a Dio ed ai nostri familiari che a Lui sono tornati?
Questo percorso di scegliere di "celebrare" in comune la vita e le sue tappe, ha un prezzo: l’integrità.
Non intendo la perfezione.
Intendo l’umiltà e la capacità di chiamare le cose col loro nome. E soprattutto la capacità di non pretendere da sé stessi più di quanto si sia in grado di sostenere.
Purtroppo ho avuto modo di verificare ultimamente che il bilancio è ben più grave di quanto io avessi potuto ritenere nella mia Comunicazione alla FECRIS dell’Ottobre 2008.
http://pietrobono.blogspot.com/2008/10/presidente-f.html
L’ondata smisurata di pressione mediatica, la folle e irresponsabile campagna mossa da taluni gruppi anti-sette, la pressione sproporzionata fatta dalle Forze dell’Ordine, e i passaggi di una Magistratura che appare disinteressata alla realtà dei fatti, hanno generato un tale scempio nelle famiglie che è impossibile da definire e da quantificare.
Non credo di esagerare se parlo di una vera e propria strage degli innocenti.
E siamo solo agli inizi.
Io ritengo che tutto ciò sia stato fatto intenzionalmente dalle persone che hanno scatenato questa carneficina. Con l’intenzione di colpire e frantumare le famiglie e il progetto di intimità, di amore e anche di appartenenza che in esse veniva coltivato.
Qualcuno forse potrà chiedersi perché sostengo queste cose e perché qualcuno potrebbe desiderare tutto questo male.
La risposta sta forse in queste parole: “… 3 Dopo un certo tempo, Caino offrì frutti del suolo in sacrificio al Signore; 4 anche Abele offrì primogeniti del suo gregge e il loro grasso. Il Signore gradì Abele e la sua offerta, 5 ma non gradì Caino e la sua offerta. Caino ne fu molto irritato e il suo volto era abbattuto. 6 Il Signore disse allora a Caino: «Perché sei irritato e perché è abbattuto il tuo volto? 7 Se agisci bene, non dovrai forse tenerlo alto? Ma se non agisci bene, il peccato è accovacciato alla tua porta; verso di te è il suo istinto, ma tu dòminalo». 8 Caino disse al fratello Abele: «Andiamo in campagna!». Mentre erano in campagna, Caino alzò la mano contro il fratello Abele e lo uccise...
(Genesi 4)
Credo che la chiave stia nella gelosia e nell’invidia.
Sono certo che alcune persone non hanno “saputo dominare il loro istinto” e hanno scelto di fare scempio di ciò che forse avrebbero voluto per se stessi, per la propria vita, non riuscendovi. Cioè di un’esistenza familiare semplice, solida e autentica.
Ma questa forse è stata solo la miccia.
Dell’ordigno proverò a parlare con cura più avanti.
Pietro Bono
1 commento:
Tu parli di invidia come motore che alimenta la persecuzione contro le famiglie che frequentavano i seminari di arkeon. Io ho un'idea diversa. Le famiglie unite nella loro affettuosa intimità non hanno bisogno di psicologi. Chi ama profondamente e in maniera lucida la propria moglie, chi costruice relazioni pulite e sane, non cresce figli che prima o poi avranno bisogno dello psicologo. Chi non tradisce sé stesso e i propri valori non ha bisogno di farsi analizzare dalla Tinelli. Se la gente impara a fare a meno degli psicoterapeuti, alcuni di loro potrebbero veder esaurito il prestigio sociale e il ruolo inattaccabile di cui godono nella nostra società malata e depressa. Se la società dovesse iniziare a considerarli dei professionisti invece che dei supereroi, dovrebbero crearsi una credibilità sulla base di quello che realmente sanno fare e ai loro meriti effettivi, e di questo hanno paura. Ho conosciuto diversi professionisti seri, motivati e tremendamente in gamba che non hanno bisogno di riconoscimenti sociali da “paladini del bene pubblico” sono persone piene di slancio e di passione per quello che fanno, s'impegnano a fondo non perché qualcuno gli dia il Cavalierato della Repubblica con medaglia e pennacchio, si impegnano ogni giorno perché i loro pazienti prima o poi trovino il loro posto nel mondo e si stacchino dalla terapia. Ogni vittoria è una loro personale medaglia, e non glie ne frega niente di essere considerati supereroi. Ma ne ho conosciuti altri che non sono così, come lo psicoterapeuta che non ha esitato a fare avances esplicite ad una persona della mia famiglia mentre era sul lettino, o come un altro che si faceva passare droga dai minorenni che aveva in cura, o un altro che richiedeva prestazioni sessuali. Il mondo è bello perché è vario e con laurea o senza laurea, una brutta persona resta sempre una brutta persona. A livello soggettivo basta starci alla larga. Ma a livello oggettivo, una brutta persona con una laurea e del potere sociale è pericolosa perché è nella condizione di screditare chiunque senza dover portare prove che avvalorino le sue accuse. Le parole di uno psicologo difficilmente vengono messe in discussione. “E se io gli dico che ha torto, e poi lui dice in giro che io sono un pazzo? Chi mi crederà più? Chi si fiderà più di me, se lo dice uno psicologo?”. Come abbiamo visto è sufficiente che una psicologa scriva “setta” vicino ad Arkeon, che tutti la copino pari pari solo perché l’ha detto lei che ha la medaglia e il pennacchio, senza sapere se stanno scrivendo una cosa corretta o una scemenza. Se lo dice una psicologa, dev'essere senz'altro così. Nella nostra società così bisognosa di aiuto, i professionisti che questo aiuto lo danno, godono di un potere e una credibilità enormi. Ci sono persone integgerrime e molto attente a non abusare di questo potere, ma purtroppo ce n’è qualcuna che non fa scrupoli a manovrare gli altri in base ai suoi scopi personali. Io non so ifno a quandoi suoi colleghi glie lo lasceranno fare: se io fossi un professionista dell'aiuto di quelli seri, non vorrei che il mio lavoro fosse accomunato a quello di persone così.
F.Z.
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